La danza della condizione umana

Un grande opera di teatro quella di Maguy Marin in “May B”. E’ una poesia tragico-sarcastica quest’opera di danza. I movimenti e i gesti perfettamente e naturalmente sincronizzati tra lentezza e vicinanza e improvvisi strappi di vesti e di spazi, i sussurri e le grida interrotti da silenzi e immobilità in una materia grigia che si diffonde nell’aria e poi si diffonde lasciando polvere sulla materia smuovono emozioni e riflessioni verso il senso della vita, del sé insieme con gli altri. Nel contesto scenografico l’umanità, dapprima coperta solo di stracci e priva di strumenti e oggetti, che esprime solo qualche verso, poi si ritrova con qualche pezzo d’abito e con qualche oggetto, che modificano il corpo e la dispersione in piccoli gruppi per poi ritrovarsi in un singolo corpo, in una solitaria figura con una valigia in mano, una solitaria figura dispersa nei pensieri o forse dispersa e basta, una figura silenziosa che poi riesce a esprimere una semplice frase: è finita. Ma non sembra una espressione di senso ristretto allo spettacolo semplicemente. Gli oggetti, di cui abbiamo fatto cenno sopra, comparsi nelle mani di protagonisti danzatori un po’ dispersi, sono una valigia, un bastone, occhiali, una corda appesa al collo di un uomo e tenuta da un altro uomo. Questi oggetti, che l’umanità si è costruita, sembrano rappresentare il degrado in cui si è dispersa: la dispersione in terre lontane, il degrado del corpo, la forza nemica verso un proprio simile.

Vanni Savazzi weblog