Il Green deal europeo (di seguito Gde), come sappiamo, si integra con l’Agenda 2030 dell’ONU portando nuove misure e nuovi obiettivi. Il Gde rappresenta una rete di strategie e di piani d’azione per ridurre le emissioni di gas serra del 55% entro il 2030 e per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Obiettivi molto importanti, nonché impegnativi da realizzare e rischiosi su tutti i fronti politici. Il 12 luglio ultimo scorso il Parlamento UE ha approvato a maggioranza risicata la proposta della Commissione Europea di un regolamento che punta a preservare la biodiversità con il ripristino dell’80% degli habitat europei degradati, che hanno subito disastri e degrado naturali o causati da mano umana per il business economico. Gli obiettivi del regolamento per il ripristino degli ecosistemi europei sono molto chiari e vincolano da subito le politiche economiche degli Stati, le strategie delle imprese e i comportamenti dei cittadini di tutta Europa. Tuttavia, le barriere e le difficoltà di raggiungimento degli obiettivi che puntano a tracciare percorsi risolutivi del “cambiamento climatico” non saranno determinate da questi vincoli di regolamento delle norme europee. Le barriere e le difficoltà di alto spessore saranno determinate da fattori molto più complessi: gruppi di interesse locale e con grandi mezzi, culture e geografie variamente diversificate, rapidità sempre più alta degli scambi e dei cambiamenti, le profonde disuguaglianze sociali, la militarizzazione continua dei rapporti tra Stati, le disponibilità disgregate di materie prime. Queste grosse barriere intrecciate in vari modi e forme, che appesantisco il clima fisico e politico-economico-sociale della Terra, non sono fuori da qualsiasi rapporto e, al contrario, toccano pur sempre l’Europa. Di nuovo, è molto importante che nel regolamento EU ci siano i termini, le date di raggiungimento di primi obiettivi e dei primi cambiamenti di gestione economica, ma non deve illudere sul raggiungimento definitivo dell’obiettivo. Riguardo, poi, al benessere della Terra, della sua atmosfera, del suolo e delle acque sarà bene avviare anche la ricerca di nuovi modelli economici e di vita, di nuovi modelli sociali, sarà bene puntare verso modelli politici che dismettano investimenti sulle armi, sulle guerre e sul potere riservato a gruppi ristretti e sarà bene investire sui valori di una nuova umanità, sul benessere sostenibile di tutte le popolazioni del mondo. Ecco, da questo punto di vista l’Europa, già in forte ritardo sul cambiamento di nuovi modelli di business, è in grandissimo anticipo sul primo passaggio verso il ripristino dei disastri climatici e soprattutto su un modello di governo in grado di migliorare la situazione: la democrazia. Per questo l’Europa – insieme con gli altri Paesi democratici – potrà aprire ampi varchi per cambiare il clima della Terra investendo sui giovani, sulla cultura, sulla mente e sul pensiero democratico degli uomini del futuro in tutti gli Stati. Un po’ di utopia non guasta, suvvia! E soprattutto si deve lanciare lo sguardo lontano anche per le decisioni più semplici. La democrazia è l’unico modello che può ricreare le condizioni migliori di vita sulla Terra per la salute del pianeta e dell’uomo, ma è anche un modello molto fragile, fondato sul pensiero dell’uomo che non sempre mira al bene comune, al bene di tutti.