Ed ecco spuntare di nuovo la diatriba dei voti a scuola. Discorso che ogni tanto affiora quando non si ha altro da fare e da dire. La scuola italiana ha vissuto e vive ancora periodicamente questo falso problema, alternando sempre e soltanto il voto e il giudizio per la valutazione di un compito, di un gesto, di un percorso scolastico annuale. Sul tema della valutazione, la scuola reale ha sempre tenuto una impostazione fondata su criteri e metodi diversi, sia numeri, sia giudizi, per tenere conto di tutti gli aspetti: risultati delle prove o prestazioni fondati su quantità e qualità dei dati dimostrati, giudizi argomentati sui percorsi fatti per arrivare ai risultati da parte degli studenti, su impegno e continuità, su partecipazione e sensibilità nei rapporti sociali e nello studio, sul valore dei cambiamenti nel percorso scolastico. La valutazione non dovrebbe essere ridotta sempre e soltanto a un semplice numero per esporre tutti quegli aspetti nominati sopra. Il numero, da qualsiasi parte e ambito si considera, misura una quantità di enti oggettiva e inoppugnabile e non può rappresentare un giudizio non misurabile, basato su una serie di prestazioni complesse, articolate in forme e ambiti diversi. A scuola, nelle attività e nelle azioni reali servono, sono necessari sia i numeri, sia i giudizi. La scuola utilizza numeri e giudizi per misurare e valutare attività diverse: a) numera singole risposte (tipo test a risposta chiusa), fa misurazioni specifiche di compiti svolti; b) espone giudizi argomentati, basate sulle osservazioni sulle diverse prestazioni della persona o altre serie di comportamenti complessi sempre della persona studente. Poi la scuola si adegua alle norme emanate dai Ministeri e applica le norme con serietà e impegno. Ricordata per l’ennesima volta questa nozioncina nota e arcinota, è deprimente leggere e ascoltare il discorsino e il piccolo dibattito sul 4 (=quattro) ancora ai nostri giorni.
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