La lettura dell’ultima pubblicazione di Joshua Cohen “I Netanyahu” è stata per me emotivamente e culturalmente molto interessante, importante. Nel suo romanzo Cohen ha narrato non soltanto un intreccio di fatti della storia della famiglia dei Netanyahu e della figura centrale di Ben-Zion, di un uomo, un professore che “ha lavorato senza sosta non solo per costruire la sua carriera, ma uno Stato intero – lo Stato Ebraico!” (pag.59). Il romanzo si forma in un contesto accademico, narra vicende di storie familiari intrecciati “tra il secolare e il religioso” nelle vicende degli ebrei nella storia e nella storia del pensiero, nella storia dei rapporti degli ebrei con altri popoli, dal Medioevo al periodo delle persecuzioni naziste, alla contemporaneità. Questa narrazione non è semplicemente uno sviluppo storico è soprattutto una riflessione su conflitti culturali e religiosi, su senso e valore dell'”essere ebreo” e dell’essere giudicato ebreo, dell’identità ebrea nella contemporaneità costruita con grande forza solidale. La scrittura di Cohen ti coinvolge nei suoi spazi e nei suoi cieli, nelle sue armonie in stili distinti, più che diversi, dal drammatico all’ironico, ti ispira al colloquio con i protagonisti e non ti stacca dalle pagine. Joshua Cohen è qui un grande scrittore, così come lo era stato (secondo me, con forme e slanci ancora più sorprendenti) nel suo libro precedente “Quattro nuovi messaggi” del 2021, edito sempre da Codice edizione, casa che ammiro molto.
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