In nome del pacifismo si sono tenute di recente due distinte e distanti manifestazioni inneggianti alla pace o dichiarando la contrarietà alla guerra, una manifestazione tenuta a Milano e una diversa manifestazione tenuta a Roma. Certamente, sia la richiesta della pace o della cessazione della guerra vogliono esprimere nobili intenti e piena, totale condivisione di princìpi e fini senza dubbio alcuno. Tuttavia, nella diversa natura dei soggetti organizzatori e nello svolgimento dei fatti qualche divisione su come valutare e raggiungere la pace stessa sono emersi, tanto da far dubitare sulla unicità di scopo delle due manifestazione in tema esplicito di pace profondo delle manifestazioni. Uno scopo silente di interessi di parte in cerca di visibilità, intraprendenza, consensi è parso chiaro. Proprio alla radice dei punti di vista di parte sta una profonda distanza politica, principalmente e primariamente nel dichiarare esplicitamente oppure vagheggiando nell’aria la verità sul casus belli. La verità riguarda la violazione di una norma internazionale da parte di uno Stato libero e sovrano contro un altro Stato libero e sovrano. La verità è la aggressione, la guerra da parte di un Paese contro un altro Paese costretto a difendere la propria autonomia, la propria libertà. Inneggiare alla pace è molto semplice, ma dire chiaramente la verità può essere scomodo nel contesto politico. Pertanto, alla fine dei conti, le opposizioni parlamentari cosa contano di fare concretamente per raggiungere lo scopo della pace nei confronti delle azioni e delle decisioni del Governo in merito? Le opposizioni sono in grado di esprimere una posizione comune in merito oppure sono già in conflitto in attesa delle prossime elezioni?
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