Ci tocca ancora imbattersi in articoli o brevi saggi su giornali e riviste in tema di “merito” nella scuola. Purtroppo ci troviamo di fronte ancora a espressioni caricate di fumi ideologico-emotivi di fastidio verso questo sostantivo, il cui senso concettuale è ridotto ad arbitrario presupposto di discriminazione. Ci imbattiamo in espressioni che hanno poco o nulla di argomentazione ragionata e articolata, di argomentazione costruita su dati reali che si sviluppa in una conclusione di critica e di proposta. Il termine “merito” è ridotto semplicemente e automaticamente a concausa di disuguaglianza sociale, a un pezzo ideologico degno di odio e repulsione. Recentemente ci è toccato leggere che le “riforme” hanno trasformato le ottime, grandi scuole, le ottime impostazioni educativo-didattiche degli anni sessanta-settanta del secolo scorso in progettifici, in scuole-azienda meritocratiche per produrre manager e manodopera con diploma e senza cultura. Questi anti-meritocratici dimostrano innanzitutto di aver conoscenze molto fragili, errate e disperse in tema di “storia e cultura della scuola”. I dati che smentiscono gli slogan immeritevoli di attenzione e ripetitivi sono netti e chiari. Le scuole degli anni sessanta-settanta erano meritocratiche e noi studenti dell’epoca siamo stati ben contenti e aperti alla meritocrazia per essere inclusi nella scuola che preparava ad un futuro diverso di quello dei padri, che non avevano altra scelta di ripetere/continuare il lavoro dei progenitori, eravamo molto felici e e motivati per arrivare a meritare il diploma per uscire dallo status di continuatori del passato per un futuro tutto nostro; eravamo ben contenti di lavorare per migliorare i traguardi già raggiunti. Le scuole degli anni sessanta-settanta erano meritocratiche e noi insegnanti nelle scuole di quegli anni eravamo ben motivati e contenti di mostrare i miglioramenti nelle conoscenze e delle competenze per offrire le migliori opportunità per il lavoro dei nostri studenti e soprattutto degli studenti più deboli. Le scuole post-anni-settanta, delle prime timide quasi-riforme di fine secolo scorso avviate con le scuole dell’autonoma del bravissimo Ministro Luigi Berlinguer, non volevano essere e non sono affatto diventate scuole-azienda, come è ben facile dimostrare con i fatti reali e concreti: questa espressione della “scuola-azienda” è una vera, autentica scemenza globale. Le scuole del nostro secolo non sono affatto progettifici: i progettifici sono stati contrattualmente “imposti”/quasi-concordati nei contratti sindacali come mezzo di attrazione alla mediocrazia. Sindacati che hanno sempre giocato con i contratti per spartire senza merito in modo uguale tra il personale scolastico i fondi dell’autonomia. Le stesse direttrici che i sindacati impongono per contrastare, impedire la formazione in servizio quale dovere dei docenti per migliorare le competenze professionali di tutti i docenti. Il vero male della scuola del nostro scuole è stata l’incapacità di fare riforme seriamente: le riforme attuate da Luigi Berlinguer in poi sono state e restano semi-riforme, riforme a brandelli, insomma non-riforme. Il vero male della scuola è l’imposizione del “blocco”, come direbbe A.Gavosto, di qualsiasi miglioramento continuo delle didattiche e degli stili di insegnamento e di funzionalità dei percorsi formativi, sempre fermi ai 5-3-3+2 anni giocati su pezzi staccati. Il vero male è la totale incompetenza e incapacità di una classe politico-sindacale di bassissimo livello, per giunta in continuo e grave peggioramento. Il vero male della scuola è l’arresto di quei “generatori di idee” (prendo a prestito questa bella espressione da D.Eggers, anche senza riferimento al nostro tema specifico), di generatori di buone politiche per valorizzare le risorse interne esistenti all’interno della scuola per fornire buone, profonde e realistiche riforme e “sbloccare” il sistema scolastico e dare valore e merito al percorso di formazione degli studenti, dei giovani, del futuro del Paese.
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