Di recente Ernesto Galli della Loggia ha scritto su “Il Corriere della sera” un articolo molto critico in merito alla proposta di legge approvata dalla Camera sulla introduzione delle competenze non-cognitive nella scuola. Galli della Loggia, dopo aver rilevato la vaghezza e soprattutto la insignificanza della espressione “competenza non-cognitiva”, rivolge la propria critica al nodo sostanziale della proposta sperimentale. Secondo Galli della Loggia, la proposta di legge è destinata a ridimensionare nella scuola la funzione di formare nei ragazzi i propri tratti personali di interpretare il mondo, di affrontare la società e il proprio futuro attraverso l’apprendimento di linguaggi e saperi, l’apprendimento disciplinare, attraverso il lavoro critico su forme, metodi e strumenti culturali, imparando ad apprendere e ad affrontare i problemi, imparando a cercare le soluzioni ai problemi della realtà. La scuola delle “competenze non-cognitive” è una scuola che ha la pretesa di trasformarsi in laboratorio sociale per apprendere la gestione delle emozioni e delle proprie volizioni, in un laboratorio assistenziale per insegnare modi e atteggiamenti psicologici per prevenire le crisi relazionali e stare bene con sé stessi e con gli altri. La sostanza dell’argomentazione di Galli della Loggia mi trova pienamente d’accordo e in questo post intendo approfondire i due argomenti principali: la vaghezza di linguaggio e il capovolgimento di senso della azione formativa della scuola.
In premessa è bene mettere in evidenza che pratiche vaghe e generiche, che si inseriscono nel quadro della “scuola non-cognitiva”, sono presenti da tempo nella scuola, motivate dalle crescenti difficoltà di affrontare le crisi generazionali, le frammentazioni sociali, i rapporti con le famiglie. Non è difficile supporre che la proposta di legge in questione sia nata proprio dalle ricorrenti spinte dal basso presenti nelle scuole.
1) L’espressione “non-cognitivo” di per sé è già confusa e imbarazzante per descrivere proposte formative da svolgere a scuola. Il “non-cognitivo” è impossibile per qualsiasi attività del cervello: impossibile non conoscere, non attivare aree cerebrali quando si ricevono stimoli percettivi da qualsiasi organo, impossibile non pensare. Pertanto, non ha alcun senso che una legge disponga di organizzare attività “non-cognitive”. Con l’espressione “non-cognitivo”, pertanto, riteniamo si intenda dare fondamento di legge a pratiche le più diverse e vaghe, sempre mutabili, indefinibili, sfuggenti già in atto da tempo immemore nelle scuole, che non prevedono di formare conoscenze e competenze.
2) Queste pratiche e attività non prevedono prestazioni, compiti e verifiche a cui dare giudizi, voti e valutazioni e che, per questa ragione, trovano sempre soddisfazione presso le famiglie, che non sopportano più il peso di responsabilità, problemi per lo studio dei propri figli e le eventuali sollecitazioni e critiche che vengono dalla scuola, che non sopportano “le classifiche” delle pagelle. Le scuole spesso si adeguano a questi approcci alla scuola e i docenti, continuamente sollecitati a non dare peso o motivazioni agli errori o alle mancanze di conoscenze, si adeguano con gli artifici più vari. In questo modo viene messa in disparte la funzione principale ed essenziale della scuola o, perlomeno, vengono ridotti spazi e tempi per la scuola di svolgere il proprio ruolo, il proprio compito fondamentale di promuovere l’apprendimento degli studenti, le competenze cognitive, la capacità di studiare di argomentare, di costruire in modo collaborativo il proprio sapere e di riflettere, di apprendere in modo approfondito il proprio sapere, di acquisire e mettere alla prova le capacità di affrontare i problemi per cercare, trovare, ipotizzare soluzioni ai problemi, di formare, consolidare le competenze di comprendere e analizzare i contenuti disciplinari. Le discipline, la letteratura, le arti e le scienze vengono messe in disparte, ridotte in frammenti di tempo per fare spazio a forme confuse di “vivere diversamente lo spazio scolastico” (questa è una espressione tipica, vaga e banalissima che dice nulla e, purtroppo, ricorre frequentemente nei piani della offerta formativa in atto!!). Cosa dobbiamo aspettarci per il futuro dei nostri ragazzi da una scuola così maltratta, di una scuola ridotta ad essere per una buona parte del proprio tempo a “Residenza Sociale Giovani”? Per fortuna, i ragazzi e i giovani hanno visioni e impostazioni mentali molto più mature di quelle dei nostri pallidi riformatori e di quelle piccole e confuse interpretazioni pedagogiche di alcuni docenti. I ragazzi e i giovani sono desiderosi e impegnati a costruire le proprie conoscenze e le competenze per il proprio futuro e sapranno rifiutare le sedute da “Residenza Sociale”.