Toni Judt è stato tra gli intellettuali più letti e ascoltati (un influencer si direbbe oggi) nelle accademie e nel mondo politico del XX secolo scorso. Le sue opere sono importanti perché tracciano un netto confine tra semplici, seppur bravi e preparati, narratori e critici del presente storico e studiosi molto preparati e intelligenti, critici acuti e grandi narratori degli sviluppi del prossimo futuro, dotati di quella finezza intellettuale che sa guardare oltre i brevi paesaggi vicini, che sa ampliare gli orizzonti oltre gli sguardi per leggere in anticipo il mondo a cui ci stiamo avvicinando, per nostra responsabilità. La lettura di alcuni suoi saggi, raccolti nell’ultimo libro pubblicato da Laterza “quando i fatti (ci) cambiano la vita”, sono particolarmente importanti anche e proprio per capire meglio la nuova narrazione a cui ci stiamo avviando dopo la catastrofe epidemica per vivere un forte cambiamento e a cui ancora il modo molto, troppo incerto stiamo dando cenni di attenzione e riflessione. I paragrafi successivi sono integralmente presi dal libro citato da pag.321-323 e 328 e ci offrono un importante contributo per il presente. “La nuova [del XXI secolo, ndr] grande narrazione – il modo in cui pensiamo al nostro mondo – ha abbandonato la prospettiva sociale a favore di quella economica. Parla di sistema capitalistico globale integrato, crescita economica e produttività invece che di lotta di classe, rivoluzione e progresso. Come quelle che l’hanno preceduta nel diciannovesimo secolo, questa storia associa un’affermazione sul miglioramento (“crescita è bello”) a una presunzione sulla inevitabilità: la globalizzazione è un processo naturale, non il prodotto di decisioni umane arbitrarie” (quindi un processo naturale necessario). La nuova narrazione, come la vecchia, è parca di consigli su come prendere decisioni difficili. Un obiettivo dello Stato sociale del 20° secolo era assicurare che tutti fossero cittadini a pieno titolo: non solo cittadini elettori, ma cittadini titolari di diritti, tra cui il diritto incondizionato di ricevere attenzione e sostegno della collettività. Il “nuovo” approccio è discrezionale e torna a vincolare i diritti di una persona nei confronti di una collettività alla sua buona condotta (oppure alla appartenenza a una nazionalità o a una residenza) e reintroduce una condizione da soddisfare per ottenere la cittadinanza sociale. Inoltre..”Abbiamo però buoni motivi per ritenere che le cose stiano per cambiare, scrive Tony Judt nel 2007. La paura sta affiorando come un ingrediente attivo della vita politica nelle democrazie occidentali. La paura del terrorismo, certo, ma anche, e forse in modo più insidioso, la paura della velocità incontrollabile del cambiamento, la paura di perdere il lavoro, di stare indietro rispetto agli altri in una distribuzione delle risorse sempre più iniqua, di perdere il controllo delle circostanze e delle consuetudini della nostra vita quotidiana.”