Un nuovo Ministro, una vecchia storia

Il Ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca si è dimesso. Chissà quanto ci mancherà! E’ stato in carica ben quattro mesi e non sappiamo proprio come dare consolazione alla disperazione di dirigenti scolastici, docenti e, soprattutto, degli studenti. Al di là della facilissima, istintiva espressione di sarcasmo, è impossibile non dare evidenza ad alcuni dati di fatto sulla gestione del Ministero e impossibile non dare opportuna attenzione allo stato della politica per la scuola nel nostro Paese. 1) Dal maggio 2006 al maggio 2008 il Ministero è stato riformato strutturalmente due volte nel corso di due anni di legislatura: dal maggio 206 il Ministero è stato scorporato. rispetto al precedente assetto, in Ministero della Pubblica Istruzione e in Ministero della Università e Ricerca; dal maggio 2008 ad oggi il Ministero è stato ri-accorpato in MIUR, ossia in Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca. Risultati e cambiamenti a seguito di queste brevi operazioni? Nessuno, una perdita di tempo e un dispendio di risorse finanziarie e professionali del tutto inutili e insignificanti. Dal maggio 2008 a dicembre 2019 (11 anni e 3 legislature) sono cambiati 7 Ministri (in media 1 Ministro per un periodo di 1 anno e quasi sette mesi); nella XVIII Legislatura sono cambiati 3 Ministri in 5 anni. Questa alta frequenza di cambio Ministro cosa ha portato sostanzialmente di cambiamento e miglioramento per la scuola italiana? Ben poco, fatte salve una riforma di ordinamento e una legge nel 2015 con alcuni ritocchi legislativi importanti, ma di certo non strutturali e diversi interventi di ordinaria amministrazione; se chiedessimo in un botta e risposta a dirigenti scolastici e al personale di scuole e uffici scolastici territoriali il nome dei Ministri succeduti negli ultimi 11 anni sarebbero in normale difficoltà e certamente potrebbero ricordare il Ministro Gelmini per la sua riforma del secondo ciclo e il premier Renzi (forse il suo Ministro Giannini non verrebbe nemmeno in mente) per la L.107, ma nulla di più. In sintesi, non sono i nomi di per sé a fare la storia e non sono i nomi a indicare la pochezza delle linee politiche scolastiche, ma di certo la “mediocrazia” di questi di titolari di passaggio al dicastero è rimarchevole e non può non essere portata alla attenzione. 2) La politica per la scuola negli ultimi anni non ha modificato, se non per pochissimi punti in percentuale, l’impegno delle risorse per le scuole: il finanziamento per la scuola rispetto al PIL, come indicano tutte le ricerche è tra i più bassi d’Europa. Al di là di questo, la politica italiana degli ultimi dieci anni non ha costruito nessuna linea di indirizzo e di sviluppo coerenti e con percorsi di continuità per impegnare il Paese al miglioramento della scuola. I risultati scolastici degli studenti in base alle indagini OCSE-PISA e INVALSI rispetto ai risultati degli studenti europei e nel mondo non sono proprio confortanti: tuttavia, su questo tema, non ci sono mai stati né uno studio, né una reazione, né, tantomeno, uno slancio perlomeno per ricongiungere visioni e intenzioni di cambiamento delle azioni politiche. Il nulla si direbbe, eppure non è nemmeno vero dire questo, ma la pochezza della politica verso la scuola nel nostro Paese è un dato e un segno certo ed evidente. Di certo il contributo delle forse sociali e sindacali sul tema della scuola è sempre stato altrettanto mediocre, per essere buoni. Tante facce per così poco è proprio uno spreco e sono pure convinto che ci fosse una personalità di alto livello disponibile alla candidatura del dicastero dell’Istruzione non riuscirebbe a fare molto: il pantano delle forze politiche italiane soffocherebbe anche i migliori cervelli.

Vanni Savazzi weblog